I “maschèr” quando si aggirano per le strade, portano varie cose che venivano usate dagli antichi nella vita quotidiana: arcolai, forche, “èrchècc” (trappole per uccelli), rastrelli, bastoni, “chèègnòi” (cestelli per vimini), campanacci “ciochè dèlè ache”; alcune maschere appoggiano sulla testa una specie di sacco chiamato “bèstèrèl” ed una cesta dove “dorme” un bambolotto. In genere le maschere passeggiano suddivise in gruppi facendo, talvolta, rivolti agli spettatori, gesti allusivi a carattere sessuale o, munite di “bocài” esasperano per burla gli atti corporali. Una vecchia usanza vuole che quando si vedono i “maschèr”, si debba gridargli “cuè-cuè”, parole che tacerebbero i “maschèr” come ubriaconi. Le maschere battendo gli “sgalbèr” sulla strada, rincorrono con aria aggressiva gli insolenti urlatori. secondo la tradizione il “mascher” che si sente apostrofare, può fare scherzi come prendere qualcuno in braccio e “buttarlo” nelle fontane piene d’acqua.
Sebbene tale uso ora sia un po’ inconsueto, negli anni scorsi questo era lo scherzo carnevalesco preferito dai bambini: costituiva un divertimento da non perdere. In occasione diversa dal carnevale, sino a pochi decenni fa, i “maschèr” facevano la loro apparizione anche in autunno. I giovanotti del paese usavano mascherarsi in quel periodo poiché era abitudine che tante ragazze andassero “a sèstè” (a ceste), cioè ad aiutare i contadini nei lavori di concimazione dei campi. A sera, per antica tradizione, i giovani si mascheravano e allegramente, anche a costo di tanta strada, si portavano in quelle cascine dove c’erano ragazze da corteggiare. Era un’occasione per scambiare quattro chiacchiere, fare approcci scherzosi e mangiare anche due castagne in padella, in attesa del Carnevale.
La compagnia degli Zuavi
Dalle testimonianze raccolte è certo che esisteva una speciale Compagnia locale, detta “gli Zuavi”.
Gli Zuavi, scomparsi negli anni successivi alle grande Guerra, eseguivano le stesse danze dei Ballerini indossando un costume diverso. La figura maschile portava una maschera bianca o bianca e rossa con i baffi. I pantaloni larghi e lunghi fino al ginocchio, erano formati da strisce colorate: “Erano come l’Arlecchino”, ricordano i vecchi del paese. La casacca aveva un grande collo a punta e la tracolla era annodata ai fianchi. La figura femminile si copriva il volto con una maschera bianca mentre il costume, bianco e tessuto a mano, era formato da una gonnellina e da una camicia che terminava con un’arricciatura ai polsi.
Le calze per maschi e femmine erano bicolori. Ci sono discordanze sul cappello che taluni descrivono di colore beige, con fiori e piccoli nastri appuntati qua e là e con a lato una fascia multicolore formata da tanti nastri: “piccoli, non come quelli dei ballerini” precisa un intervistato, mentre altri lo ricordano solo attraversato dalla fascia multicolore. Si presume che la compagnia degli Zuavi sia scomparsa per due motivi: il primo economico, vista la povertà dei tempi ed il dispendio di denaro per preparare un costume che, data la sua foggia, non permetteva di essere sfruttato durante l’anno come invece succedeva al costume dei ballerini. Il secondo motivo è da ricercarsi nella fantasiosità dell’attuale copricapo dei ballerini, che “avviliva” il costume zuavo. Forse qualche vecchia cassapanca conserva, nascosto, un esemplare di costume zuavo, sì da poter ricostruire, in rispetto della tradizione, una nuova compagnia.
Il “Paiasso”
Altra figura che forse meriterebbe di essere rispolverata è quella del Paiasso. Le testimonianze concordano nel presentare questo personaggio vestito a “casaccio”: poteva avere delle pezze colorate qua e là sul vestito. Il suo ruolo non era da poco, aiutava il capo ballerino a mantenere l’ordine, teneva lontana la gente che si accalcava troppo vicina ai ballerini. Il Paiasso aveva anche il compito di portare il vino ai ballerini. Girava armato di gerle colme dell’alcolica bevanda per ritemprare i “bisognosi”.